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Purtroppo gli anziani muoiono ovunque, soprattutto al domicilio

Pubblicato il 29 Aprile 2020 Tempo di lettura: 11.2 min

È ormai opinione diffusa, anche nella comunità scientifica, che i bollettini giornalieri presentati dalla Protezione Civile restituiscano una fotografia molto sottostimata della reale entità della pandemia all’interno del nostro Paese, soprattutto con riferimento al numero dei contagi e a quello dei decessi direttamente o indirettamente imputabili al Coronavirus. Inoltre, a partire dalla metà di marzo, l’attenzione mediatica si è concentrata sulle RSA e, in subordine, sulle altre unità di offerta residenziali che operano sul territorio a vantaggio di anziani e altre categorie di utenti fragili (es: disabili e psichiatrici), additandole come uno dei principali luoghi di diffusione del contagio.

Partendo da queste premesse, l’Osservatorio Settoriale sulle RSA della LIUC Business School ha sviluppato un’indagine finalizzata ad esaminare le variazioni intervenute nell’andamento dei decessi nel periodo 21/02/2020 – 04/04/2020 rispetto alla media dell’identico periodo dei 5 anni precedenti (2015-2019), sia con riferimento alla popolazione totale, sia in relazione alla sola popolazione anziana. La data di avvio del periodo considerato (21/02/2020) coincide con la prima diagnosi confermata dall’ISS di Covid-19 ai danni di un residente di nazionalità italiana, nonché con il primo caso autoctono di decesso con Coronavirus. Il 04/04/2020 è, invece, l’ultimo giorno utile del 2020 di cui risultavano disponibili i dati sui decessi 2020 al momento di conduzione dell’indagine.

Tutte le analisi sono state condotte a partire dai dati ISTAT di maggior dettaglio relativi a 1.689 Comuni italiani afferenti all’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR), che, in logica cumulata, rappresentano un insieme di 19.313.288 di abitanti, pari al 32,0% della popolazione italiana al 01/01/2019. Le evidenze empiriche emerse vanno ovviamente lette con estrema cautela, dato che, come raccomanda l’ISTAT stesso, i dati disponibili <<[…] non riguardano un campione di comuni, ma una selezione di questi ultimi (pari a 1.689 dopo l’aggiornamento settimanale) operata sulla base di una valutazione della completezza e della tempestività delle informazioni raccolte […]>>. In particolare, occorre sottolineare che sussiste ancora un’enorme variabilità nel rapporto tra popolazione verificata e popolazione totale, tanto a livello provinciale, quanto su base regionale[1] (grafico 1).

Fatte queste debite premesse e pur a fronte di tutti i limiti del caso, l’incremento dei decessi avvenuti nel 2020 rispetto alla media di quelli relativi al quinquennio 2015-2019, assume proporzioni rilevanti, soprattutto a partire dalla prima settimana di marzo, interessando in misura maggiore le Regioni (es: Lombardia ed Emilia-Romagna) e le Province (es: Bergamo e Lodi) più duramente colpite dal diffondersi dell’epidemia. È del tutto ovvio che l’incremento dei decessi osservati non è assolutamente imputabile in via esclusiva alla pandemia da Covid-19; è, infatti, plausibile che nel medesimo periodo altre cause possano aver verosimilmente inciso sulla mortalità complessiva, sia in positivo (es: riduzione dei decessi per incidenti stradali e infortuni sul lavoro) che in negativo (es: tempi di soccorso più lunghi e maggiori difficoltà di accesso di altri malati alle terapie intensive).

 

Grafico 1Incidenza % popolazione nei 1.689 Comuni verificati sul totale delle rispettive popolazioni regionali al 1/01/2019

Fonte: dati ISTAT, con elaborazioni

 

Grafico 2Numero dei decessi giornalieri in Regione Lombardia nel periodo 01/01/20-04/04/20 Vs. media anni 2015-2019

Fonte: dati ISTAT, con elaborazioni

 

Ciò nonostante, è del tutto evidente che i numeri ufficiali sui deceduti da Covid-19 rappresentino molto probabilmente solo la punta dell’iceberg. A titolo di esempio emblematico, si osservi il grafico 2, che mostra l’andamento dei decessi giornalieri in Regione Lombardia dall’inizio del 2020 al 04/04/2020, mettendolo a confronto con la media di quello verificatosi nello stesso intervallo temporale del precedente quinquennio.

Questi trend lasciano verosimilmente supporre che i decessi direttamente o indirettamente imputabili al Coronavirus siano decisamente molto più numerosi rispetto a quelli ufficiali (es: persone decedute al domicilio o in unità di offerta territoriali senza ricevere una diagnosi ufficiale mediante effettuazione del tampone e conduzione del successivo test di biologia molecolare).

 

Tabella 1Variazione % e in valore assoluto dei decessi nel periodo 21/02/20-04/04/20 Vs. media anni 2015-2019 nei 1.689 Comuni verificati per Regione[2]

Fonte: dati ISTAT, con elaborazioni

 

Infatti, a fronte di una variazione complessiva del +85,7% per l’intera popolazione verificata, le Regioni più in sofferenza, che all’interno dei Comuni verificati presentano mediamente un discreto grado di copertura del totale della rispettiva popolazione residente, evidenziano incrementi davvero impressionanti, tra cui spicca, in modo particolare, il +147,2% della Lombardia (tabella 1). Questi “risultati” colpiscono ancora di più se si considera che il 2020, soprattutto per ragioni climatiche, sembrava presentarsi come un anno <<[…] che era partito con ottime prospettive […]>>[3].

 

Tabella 2Variazione % e in valore assoluto dei decessi nel periodo 21/02/20-04/04/20 Vs. media anni 2015-2019 nei 1.689 Comuni verificati per fasce di età

Fonte: dati ISTAT, con elaborazioni

 

Sebbene nei Comuni verificati l’incidenza degli anziani deceduti sul totale dei decessi non abbia fatto emergere scostamenti particolarmente significativi (2015-2019: 90,3%; 2020: 92,4%), la popolazione anziana, com’era lecito attendersi, è il segmento demografico che nel 2020 registra il più alto incremento dei decessi rispetto alla media dei 5 anni precedenti (tabella 2). Tuttavia, considerando congiuntamente la popolazione dei Comuni verificati, le variazioni più alte non si riscontrano nella fascia degli oldest old (+83,8%), ma, bensì in quelle degli young old (+91,2%) e degli old old (+99,5%), anche se questa tendenza non trova sempre conferma all’interno dei singoli territori regionali, neppure isolando le 4 Regioni maggiormente colpite dall’epidemia alla data dell’ultimo giorno del periodo di osservazione[4] (tabella 3).

 

Tabella 3Variazione % e in valore assoluto dei decessi nel periodo 21/02/20-04/04/20 Vs. media anni 2015-2019 nei 1.192 Comuni verificati di Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte e Veneto per fasce di età

Fonte: dati ISTAT, con elaborazioni

 

Sempre con riferimento agli anziani, va ricordato che l’utenza tipica delle RSA rientra a pieno titolo nella fascia degli over 85 (oldest old). Basti considerare che l’età media di ingresso nelle RSA negli anni si è progressivamente innalzata e, secondo i dati dell’Osservatorio Settoriale sulle RSA della LIUC Business School, nel 2018 risultava pari a 84,5 anni (grafico 3).

Analogamente, queste unità di offerta, in condizioni “normali”, registrano un tasso medio di mortalità su base annua che, sempre nel 2018, risultava pari ad oltre il 21%, il cui trend di graduale crescita si deve principalmente al peggiorare delle condizioni cliniche degli ospiti che accedono a questa tipologia di servizio (grafico 4).

 

Grafico 3Età media all’ingresso degli ospiti in RSA

Fonte: Osservatorio Settoriale sulle RSA, LIUC Business School

Grafico 4Tasso di mortalità annua delle RSA

Fonte: Osservatorio Settoriale sulle RSA, LIUC Business School

 

Non va, infatti, dimenticato che gli utenti prevalenti delle RSA sono grandi anziani non autosufficienti (over 85), contraddistinti da totale dipendenza, elevata comorbidità e frequente compromissione della cognitività, con indicatori prognostici compatibili con una ridotta speranza di vita. Se si acquisisce consapevolezza su quelle che sono le caratteristiche della popolazione maggioritaria di utenti delle RSA, non è difficile comprendere l’alta letalità con cui il Coronavirus può manifestarsi all’interno di queste realtà, che, è bene sottolinearlo, non sono progettate per l’isolamento, ma sono strutture integrate nella comunità del proprio territorio, nonché fortemente orientate a garantire frequenti momenti di socialità interna, pur dovendo garantire un difficile equilibrio all’interno del trade-off tra privacy individuale e vita comunitaria.

L’elevata mortalità verificatasi negli anziani afferenti alle fasce degli young old (65-74 anni) e degli old old (75-84 anni), che solo in casi residuali trovano dimora nelle RSA, verosimilmente è per lo più riconducibile ad anziani residenti al proprio domicilio, che non è, quindi, da considerarsi sempre ed aprioristicamente come un luogo più sicuro delle RSA e/o delle altre unità di offerta residenziali del territorio rivolte alla popolazione anziana.

Queste evidenze vanno tenute in debita considerazione nel ripensare l’attuale sistema territoriale di offerta residenziale, soprattutto al fine di evitare di snaturare precocemente e, forse, anche immotivatamente, il ruolo delle RSA all’interno della filiera dei servizi per la non autosufficienza.

Certamente questa epidemia porterà a dei cambiamenti irreversibili anche nel settore socio-sanitario, che in molte Regioni, Lombardia in primis, necessitava già da tempo di un vero e proprio processo di riforma. Ma per muoversi correttamente lungo questa direttrice, è necessario aprire un momento di seria e profonda riflessione con tutti gli stakeholder del territorio, collegando questa riflessione con quella che dovrà interessare necessariamente l’intero Servizio Sanitario Nazionale e quello di ogni singolo contesto regionale.

Aver trasformato troppo rapidamente l’emergenza sanitaria delle RSA in “emergenza giudiziaria”, rischia seriamente di compromettere le innegabili esigenze di riforma che i servizi territoriali dovranno affrontare, ma a tempo debito. In questo momento, al di là delle situazioni individuali, è necessario che i sistemi regionali creino le condizioni di contesto affinché le RSA possano esercitare al meglio le proprie funzioni, non solo con riferimento ai “reparti” di ospiti Covid-19 (tali o presunti), ma anche con riferimento all’utenza tipica che non è stata oggetto di contagio ed a cui vanno garantite, nel limite del possibile, le routine quotidiane che segnano il trascorre del tempo all’interno di questi servizi.

Non mancano, infine, dei segnali incoraggianti. Considerando le variazioni dei decessi su base settimanale a partire dal 1° marzo 2020 (grafico 5), si osserva che nelle Regioni più colpite dalla pandemia, le variazioni più alte si sono sempre verificate nella 4° settimana (22-28 marzo 2020), per poi decrescere in maniera significativa nella settimana successiva (29/03/2020-4/04/2020). Tale trend trova un positivo riscontro anche considerando congiuntamente l’intera popolazione dei 1.689 Comuni verificati.

 

Grafico 5Variazione % dei decessi settimanali[5] nel periodo 01/03/20-04/04/20 Vs. media anni 2015-2019 nei 1.689 Comuni verificati per Regione

Fonte: dati ISTAT, con elaborazioni

 

Antonio Sebastiano e Roberto Pigni

Centro sull’Economia e il Management nella Sanità e nel Sociale

 

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[1] Per le aggregazioni su base regionale, l’incidenza della popolazione verificata sul totale della popolazione residente varia in un range che va dal 72,2% della Lombardia al 3,1% del Lazio. Per le aggregazioni su base provinciale, il suddetto rapporto va da un massimo del 93,9% (Parma) ad un minimo dello 0,7% (Latina), a cui si aggiunge la totale assenza di Comuni verificati nelle Province di Bolzano, Trieste, Rieti e Prato.

[2] Si precisa che in tutte le tabelle e in tutti i grafici in cui viene indicata la media dei decessi avvenuti nel quinquennio 2015-2019, la stessa, per semplicità di lettura, viene riportata al netto dei decimali, che, tuttavia, sono stati considerati al fine del calcolo degli scostamenti percentuali con i dati dei decessi relativi al medesimo periodo del 2020.

[3] Fonte: ISTAT, Scenari sugli effetti demografici di Covid-19 per l’anno 2020, 23/04/2020.

[4] Fonte: bollettino PCM-DPC aggiornato al 04/04/2020 su dati forniti dal Ministero della Salute.

[5] Le settimane sono state definite come intervalli di sette giorni consecutivi prendendo come riferimento i primi sette giorni del mese di marzo 2020.