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La rilevanza dei costi nella gestione d’impresa – seconda parte

Pubblicato il 08 Maggio 2020 Tempo di lettura: 4.8 min

Una volta classificati i costi secondo lo schema proposto nel precedente contributo (La rilevanza dei costi nella gestione d’impresa – prima parte), la valutazione dell’entità del costo dipende dalla configurazione di costo prescelta. La configurazione di costo può essere definita come l’insieme delle scelte attraverso le quali il management decide quali tipologie di costi inserire nel computo per determinare il costo di un determinato oggetto di calcolo (prodotto, cliente, canale distributivo). In merito alle possibili configurazioni di costo, le alternative sono moltissime e possono essere collocate lungo un continuum ai cui estremi si trovano:

  • Il costo primo variabile di fabbricazione. Con questa configurazione si introducono nel calcolo i soli costi variabili e, in particolare, i costi variabili per svolgere le attività di fabbricazione.
  • Il costo pieno aziendale. Con questa configurazione si introducono invece nel calcolo tutti i singoli elementi di costo relativi a tutte le attività

Tra le due configurazioni “estreme”, possiamo identificarne una intermedia molto interessante: il Direct Costing. Con il Direct costing si procede a una configurazione a costi specifici o speciali (Traceable). Gli elementi di costo che si introducono nel calcolo sono quindi solo quelli che hanno la caratteristica di essere costi riferibili a quei fattori produttivi che possono essere attribuiti all’oggetto di calcolo in modo oggettivo e specifico. Il driver che deve guidare la scelta di includere o meno un costo secondo questa configurazione è la specificità. La loro caratteristica peculiare è l’eliminabilità ossia il loro venir meno con l’eliminazione dell’oggetto di calcolo.

Ciò che è importante sottolineare è che non esiste una configurazione di costo preferibile in assoluto, né tantomeno esiste il costo “vero”. Esiste al massimo una configurazione di costo più adatta rispetto a un’altra per un determinato scopo. Se cambia lo scopo, cambia anche il tipo di configurazione da preferire. Horngren in proposito ammoniva “In un’impresa, un certo metodo può essere desiderabile poiché induce il comportamento desiderato. In un’altra impresa lo stesso metodo può invece essere causa di effetti comportamentali opposti a quelli desiderati”. In accordo con Horngren dunque si può affermare che le diverse configurazioni di costo possono generare comportamenti differenti. La configurazione di costo verso cui orientarsi è quindi quella più congeniale nel generare decisioni e azioni che permettano il conseguimento degli obiettivi d’impresa. In proposito, basti pensare al ruolo che il costo di prodotto può giocare ad esempio nella valutazione delle rimanenze e nella successiva determinazione del risultato d’esercizio. Come si può apprezzare dall’esempio seguente, qualora si abbia un volume di produzione diverso dal volume di vendita, i risultati possono essere anche molto diversi in relazione alla configurazione di costo prescelta e possono determinare comportamenti diametralmente opposti.

Tabella 1 – Effetti sul risultato d’esercizio derivanti da una diversa valutazione delle rimanenze (Fonte: Per un calcolo dei costi strategicamente corretto. A. Bubbio, 2007)

 

Così, ad esempio, in presenza di un aumento quantitativo delle rimanenze (situazione 1 e 2), e quindi di volumi di produzione maggiori dei volumi venduti, il risultato d’esercizio risulterebbe più alto propendendo verso una valutazione delle rimanenze al costo pieno (costo di fabbricazione unitario + costo variabile). Una scelta di questo tipo potrebbe ad esempio dipendere dal risultato che il management desidera comunicare gli stakeholder o agli azionisti. Una scelta di questo tipo “spingerebbe” però verso un aumento delle rimanenze da mettere a magazzino. Più aumentano le rimanenze, più il risultato migliora. Scelta che però potrebbe rivelarsi oggi molto pericolosa almeno per i seguenti aspetti:

  • aumento dei costi di gestione delle scorte e conseguente aumento del circolante
  • costi derivanti dalla possibile deperibilità delle scorte
  • perdite derivanti da cambi di preferenze da parte dei clienti (i prodotti messi a magazzino vengono superati da altri prodotti nella “wishlist” dei clienti)

Le colonne 5 e 6 della tabella evidenziano invece come in presenza di una diminuzione quantitativa delle rimanenze, e quindi di volumi di produzione minori dei volumi venduti, il risultato d’esercizio risulterebbe più alto utilizzando il solo costo variabile. Una valorizzazione di questo tipo spingerebbe quindi verso una riduzione delle rimanenze. La riduzione delle rimanenze permetterebbe di evitare gli aumenti di costi individuati prima ma potrebbe magari peggiorare il livello di servizio nei confronti dei clienti (rischio di rotture di stock).

Concludendo: la scelta di una configurazione di costo piuttosto che un’altra può generare comportamenti diversi da parte del management e che non esiste una configurazione migliore a priori. Esiste solo una configurazione migliore di altre con riferimento a un determinato scopo o, per usare le parole del Prof. Alberto Bubbio, esiste solo un “costo strategicamente corretto“.

Dario Gulino

Centro su Costi e Performance Aziendali

 

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